Come diventare osteopata?

Il percorso formativo dell’osteopata è molto differente in ogni parte del mondo, attualmente in Italia non esiste una regolamentazione in merito ma, a livello europeo ci sono delle norme di riferimento a cui CRESO si ispira e alle quali ha adeguato i suoi percorsi di studi.
Tali norme si ritrovano nel documento Benchmarks for Training in Osteopathy del 2014 redatto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e nella normativa europea CEN (Comitato Europeo per la Standardizzazione). I nostri percorsi formativi sono inoltre in accordo con la normativa italiana in materia (Legge 14/01/2013 n°4, G.U. 26/01/2013).
Quindi come diventare osteopata? Allo stato attuale ci sono due percorsi formativi, secondo le suddette norme, che possono portare alla formazione di un osteopata. Un percorso di 5 anni mix mode, dedicato a coloro che sono già in possesso di un titolo sanitario, e un percorso full time, sempre della durata di 5 anni, dedicato a coloro che non hanno un titolo sanitario pregresso.
L’Osteopata non è un medico né una figura paramedica.
Non può e non deve svolgere attività di pertinenza medica (ovvero diagnosticare le eventuali patologie e tarare un iter ‘terapeutico’, farmacologico e non).
E’ una figura che potremmo definire di ‘educazione al benessere’ che, attraverso conoscenze ed esperienze specifiche, accompagna il paziente verso il pieno benessere. Per usare una terminologia anglofona potremmo definirlo un Wellness counselor (Consulente al benessere).
Sovente l’azione dell’Osteopata affianca e coadiuva una terapia medica ufficiale, consentendo al paziente di meglio rispondere (in virtù della stimolazione delle naturali ed innate risorse interne) alla terapia in atto.

È legale esercitare la professione di osteopata? Lo Stato Italiano riconosce questa professione?

Assolutamente sì è la risposta al primo quesito, mentre per il secondo è negativa e spieghiamo meglio: nella stessa Costituzione è garantito il diritto e la libertà di operare, come liberi professionisti o in associazione o addirittura in forma cooperativa.
Di seguito vengono riportati gli articoli di Legge più salienti in tal senso.
dalla COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA:
ART.4: La Repubblica riconosce a tutti il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.
ART.35 -III- RAPPORTI ECONOMICI: La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni…
ART.41: L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo di recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana…
ART.53: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva…
dal CODICE CIVILE, libro Quinto, del Lavoro:
ART. 2060: il lavoro è tutelato in tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali.
E’ quindi assunto fondamentale della Costituzione e del Codice Civile la tutela del lavoro IN TUTTE LE SUE FORME, purché non crei danno e contribuisca al concorso delle spese pubbliche e non è necessario un “riconoscimento” ufficiale perché un lavoro, anche se non regolato da norme, possa entrare a far parte delle attività lavorative.
A questo proposito e per avvalorare la tesi riportiamo lo stralcio di un rapporto CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e Lavoro)
“Affinché si identifichi una professione non è necessario che questa abbia un riconoscimento pubblico, ma quei requisiti che ormai rappresentano il quadro di riferimento internazionale: un sapere dai confini definiti, un sistema di formazione e di controllo della qualità, un corpus di norme etiche, funzioni orientate al cliente.
Queste caratteristiche riguarderebbero sia il professionista sia i soggetti di rappresentanza. Per cui chiede una riforma atta a garantire un percorso formativo adeguatamente strutturato ai propri iscritti, a verificarne la qualità in itinere, a esigere il rispetto di regole di comportamento ed a conferire il titolo professionale corrispondente.”
E’ solo quando l’Operatore sconfina in un’ambito professionale che abbia i connotati tipici delle professioni sanitarie che, in Italia, il rischio è quello di contravvenire all’articolo 348 cod.penale (esercizio abusivo delle professioni protette, per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato.), meglio specificato, per quello che riguarda la professione medica, dalla Cassazione Penale, sez.II, 5385/95:
“In relazione alla professione medica, che si estrinseca nell’individuare e diagnosticare le malattie, nel prescriverne la cura, somministrare i rimedi anche se diversi da quelli ordinariamente praticati, commette il reato d’esercizio abusivo della professione chiunque esprima giudizi diagnostici e consigli e appresti le cure al malato”.

Come ci si deve organizzare sotto il profilo amministrativo e fiscale?

L’attività di OSTEOPATA, svolta in maniera professionale ed abituale, trova collocazione da un punto di vista fiscale nell’art. 49 del testo UNICO delle Imposte sui Redditi (DPR 22.12.86 N.917): “Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo.., compreso l’esercizio in forma associata.
Il reddito di lavoro autonomo è quello derivante dall’esercizio di attività lavorative diverse da quelle di impresa o di lavoro dipendente. Elementi caratterizzanti sono quindi l’autonomia, intesa come organizzazione della propria attività con mezzi idonei (beni strumentali, collaboratori) al raggiungimento del risultato.
La determinazione del reddito professionale di lavoro autonomo avviene secondo il primcipio di cassa, in base alla differenza ra i compensi incassati e le spese effettivamente sostenute nell’esercizio della professione.

Regimi contabili
Dall’art. 1. 1997 per tutti i professionisti non rientrati nel nuovo regime forfetario (applicabile ai contribuenti con compensi nell’anno precedente no superiore a euro 10.329,149), è previsto come regime naturale, a prescindere dal volume d’affari conseguito nell’anno precedente, quello della tenuta della contabilità semplificata.
Il regime di contabilità ordinaria è applicabile solo su opzione da effettuare nella dichiarazione IVA dell’anno precedente, oppure nella dichiarazione di inizio attività. Coloro che rientrano nel regime forfetario determinano il reddito non come differenza tra incassi e pagamenti, ma applicando al volume d’affari la percentuale di 78%.
Dal 2001 è stato introdotto anche un regime sostitutivo per attività marginali o per nuove attività, il reddito determinato, sempre secondo il cosiddetto criterio di cassa, viene assoggettato ad un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionale pari al 15% se trattasi di attività marginale, e del 10% se trattasi di nuova attività.
I compensi del professionista se derivanti da attività effettuata nei confronti non di privati, quindi di altri titolari di partita IVA (ditte, società altri professionisti) sono assoggetati a ritenuta di acconto del 20%.
Il reddito di lavoro autonomo oltre ad essere assoggetato ad IRPEF e ad eventuali addizionali regionali e comunali viene anche assoggettato ad IRAP.
La base imponibile è determinata dalla differenza tra l’ammontare dei compensi percepiti e l’ammontare dei costi sostenuti inerenti l’attività (tra i costi sono esclusi gli interessi passivi e le spese per il personale dipendente salvo apprendisti e contratti di formazione 70%).
Nei confronti dei professionisti che non abbiano optato per il regime di contabilità ordinaria possono essere effettuati accertamenti induttivi nel caso in cui gli elementi dichiarati si dimostrino incompatibili per:
– i periodi d’imposta 1989/1994 coefficienti presuntivi;
– i periodi d’imposta successivi parametri contabili.
Nel 2000 sono stati approvati in via sperimentale anche Studi di settore quali strumenti su cui basare l’accertamento e, per quanto riguarda l’attività di Osteopata, non avendo un codice attività IVA specifico viene inquadrato nel codice 8514D “altre attività paramediche indipendenti”. Codice Studio di settore: sk19u.
Gli studi di settore vengono formati sulla base di indicatori costruiti su dati contabili e presentate dai contribuenti, mentre dati extracontabili vengono chiesti ai contribuenti in base ad appositi questionari.
In detti questionari vengono richieste diverse informazioni quali:
– il numero dei dipendenti e di eventuali collaboratori e le giornate da essi lavorate nel corso dell’anno contributivo
– il numero degli ambulatori dove si esercita la professione e se di proprietà o in locazione. Nel secondo caso, l’importo pagato per l’affitto, se si utilizza la propria abitazione anche per l’esercizio dell’attività di docente o per l’attività di relatore a corsi o convegni.
Gli Studi di settore verificano la congruità dei ricavi dichiarati e la coerenza del valore effettivamente riscontrato per i principali indicatori economici rispetto ai valori minimi e massimi tipici del settore di attività del contribuente.
Nel caso in cui il contribuente abbia optato per il regime di contabilità ordinaria vedrà applicato l’accertamento se i ricavi o compensi dichiarati sono inferiori a quelli risultati dagli studi di settore per almeno due periodi di imposta su tre consecutivi.
Per i contribuenti in contabilità semplificata, l’accertamento scatta sin dal primo periodo d’imposta.
Contributi previdenziali
Dal 1996 il professionista “Osteopata” deve iscriversi all’INPS nella gestione separata per i lavoratori autonomi.
Inizialmente l’aliquota contributiva ammontava al 10%.
Dal 2000 è salita al 13% e nel 2002 è arrivata al 14%, aliquota che è destinata ad aumentare fino al 19%.
Il contributo INPS è addebitabile in via definitiva ai committenti nella misura del 4%, fa parte della base imponibile IVA ed è inoltre soggetto alla ritenuta d’acconto IRPEF.

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