L’Osteopata e l’occhio che accarezza
Nella funzione dello sguardo coesistono un’infinità di sguardi che sono differenti per motivazioni, intensità, finalità.
Ci si guarda l’un l’altro, furtivamente o in modo sincero, durante un colloquio e nella vita quotidiana.
Si esamina il mondo attraverso uno sguardo che contempla o interroga.
Si mira al bersaglio attraverso uno sguardo concentrato che si crede efficace e appropriato.
Si scruta l’orizzonte con uno sguardo intensamente differenziato dall’esperienza.
Si osserva lo stato delle cose, persino lo stato d’animo, con uno sguardo che coltiva l’ottica neutra e fredda della scienza.
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Nella specificità dello sguardo coesistono un’ infinità di sguardi che sono differenti in rapporto ai luoghi e alle forme.
Lo sguardo dell’altro, ci insegna Sartre, viene vissuto come un urto improvviso: come lo stabilirsi di una discontinuità.
Lo sguardo dell’altro provoca stupore, sorpresa, spesso irritazione, proprio perché soggettivizza: attraversa, perforandole, le proprietà oggettive dell’esistenza facendo appello alla soggettività più profonda.
Colui che guarda non resta neutro o impassibile.
Uno spettatore ideale non esiste.
Ci sono reazioni soggettive, come la vergogna o anche l’eccitazione corporea, che spesso accompagnano uno sguardo.
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Altra caratteristica dello sguardo dell’altro, secondo Sartre, è la sua invisibilità.
Quando sento lo sguardo dell’altro, distruggo i suoi occhi e abolisco l’intero universo della percezione.
Questo non-riconoscimento dell’origine dello sguardo dell’altro spiega il suo fascino e la sua capacità di seduzione.
Che lo sguardo dell’altro sia affascinante e seducente dipende dall’impossibilità di riconoscere o di interpretare la sua motivazione e la sua intenzionalità.
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Si è sentito spesso affermare che l’intera cultura occidentale e la Storia dell’Arte siano governate dal paradigma ottico.
All’interno di questo paradigma dominante si pone una delimitazione tra i cinque sensi e il loro funzionamento specifico: la visione, in questo contesto, si colloca al vertice della gerarchia sensoriale.
La vista è totalmente autonoma e indipendente dagli altri sensi a causa dell’ancoraggio nella sua base fisico-fisiologica: il soggetto vede nel momento in cui il nervo ottico viene stimolato dalla rapidità delle particelle luminose e nient’altro.
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È forse possibile isolare il vedere dal suo contesto interpretativo?
Si può forse vedere senza guardare?
Si può forse neutralizzare del tutto il coinvolgimento soggettivo?
E’ davvero realizzabile la teoria del vedere puro, ovvero quel vedere privo di ogni interpretazione, privo di ogni impegno soggettivo?
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Il modo con cui lo sguardo si posa su un’opera d’arte è qualcosa di diverso.
L’essere umano è un’opera d’arte.
L’osteopata è il tramite che consente all’opera d’arte di riconoscersi come tale.
L’osteopata ha tre modalità per osservare il paziente: lo sguardo che vede, lo sguardo che guarda, lo sguardo che tocca.
Se passiamo dallo sguardo che vede allo sguardo che guarda, lo sguardo viene arricchito di un potere interpretativo, un potere capace di un’analisi della semantica interna di un oggetto artistico.
Lo sguardo che tocca implica la valorizzazione della sensazione interna del corpo, non del corpo materiale e fisiologico oggettivato dagli anatomisti, ma del corpo vissuto.
La messa a fuoco della sensazione interna del corpo, del sentimento vitale, va di pari passo con la destituzione dell’otticità.
Lo sguardo che proietta la bellezza in una scultura non è uno sguardo che vede o uno sguardo che guarda: è uno sguardo che tocca, che palpa.
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L’osteopata è il fedele ammiratore dell’Artista e come tale utilizza le mani non per apportare modifiche e in tal modo distruggere l’opera d’arte ma solo per togliere la polvere degli anni.
L’osteopata è il tecnico restauratore che con umiltà riporta alla luce i colori di un quadro di Raffaello e le forme di una scultura di Leonardo.
L’osteopata è il tecnico pianista che fa vibrare nell’aria i suoni di una sinfonia di Mozart…
Ma, come spesso accade, ciò che è assente nel nucleo fondamentale di un pensiero riaffiora misteriosamente al suo margine.
Il margine è costituito dalla passione con cui l’osteopata guarda all’opera dell’Artista.
Fabiola Marelli
Osteopata D.O. mROI