Trigger point e tender area: l’incostanza degli stimoli

Primo piano di una macchina da scrivere gialla. Due mani di donna che stanno battendo i tasti mentre un foglio fuoriesce dalla macchina. Il punto è l'editoriale di Fabiola Marelli, Osteopata e Amministratore di CRESOL’organismo è un sistema complesso che tende all’equilibrio della configurazione originaria. L’interazione con il mondo porta variazioni e squilibri in rapporto ai quali il sistema reagisce cercando di riequilibrarsi.

La malattia è uno squilibrio del sistema.

Il sistema ha una sua capacità di autoguarigione, che è semplicemente la tendenza del sistema stesso a ritornare allo stato di equilibrio originario o comunque precedente.

Per cambiare la configurazione del sistema sono necessari o stimoli veramente importanti o stimoli ripetuti, come una goccia che scava la roccia.

Ci sono stimoli che provocano dolore e stimoli che non lo provocano.

Topograficamente, funzionalmente e semeiologicamente esiste una distinzione tra trigger point miofasciali (localizzati nelle fasce muscolari e nei muscoli a cui corrispondono aree di allodinia profonda) e trigger point cutaneo-mucosi (localizzati su cute e mucose a cui corrispondono aree di allodinia superficiale).
Il trigger point miofascialeche non costituisce una realtà anatomica ma funzionale, consiste in una zona circoscritta (point) situata in una banda muscolare rigida (taut band) all’interno del muscolo o della sua fascia, in cui i nocicettori sono divenuti iper-irritabili a causa dell’azione locale dei metaboliti algogeni (serotonina, istamina, bradichinina, prostaglandine).
La taut band non è uno spasmo muscolare che interessa il muscolo nella sua totalità (e comporta un’attività elettrica locale che non fa parte del fenomeno del trigger point) ma una contrattura.
Può comunque accadere che lo spasmo muscolare si sovrapponga al quadro clinico prodotto dal trigger point e lo complichi anche dal punto di vista diagnostico.

La palpazione del trigger point induce il jump sign (trad: segno del salto), che è una reazione improvvisa del paziente a cui viene applicata la digitopressione.
Il trigger point è dolente solo se palpato (per la simultanea stimolazione della taut band), quindinon spontaneamente; si comporta come il grilletto di un fucile che, se premuto, spara il dolore nella corrispondente zona bersaglio.
In genere, l’estensione e l’entità del dolore prodotto dal trigger point sono direttamente proporzionali alla sua stessa attività o irritabilità le quali possono variare di ora in ora o di giorno in giorno.

Qualora il trigger point fosse abbastanza superficiale un altro riscontro è quello della local twitch response.
Durante l’infissione dell’ago, appoggiando i polpastrelli in corrispondenza della sede del trigger point, è stato registrato un “guizzo del muscolo”, ovvero una “rapida e fugace contrattura” accompagnata da dolore locale.
Questa risposta è data non solo dall’ingresso dell’ago nella sede del trigger point ma anche dal fatto che i terminali sensitivi e motori sono ipereccitabili in quella sede.
Sì è giunti quindi alla conclusione che la stimolazione dei terminali motori ipereccitabili sarebbe sufficiente ad evocare la brusca risposta motoria di quel tratto di muscolo senza la produzione di un PTA (Plasma Tromboplastin-Antecedent).

I trigger point miofasciali possono essere attivi, latenti o estinti.
Quelli attivi provocano dolore, riduzione dell’ampiezza dei movimenti, rigidità muscolare (specie dopo un periodo di relativa mobilità muscolare come ad esempio nel momento del risveglio mattutino) ed iperattività vasomotoria (pallore durante la digitopressione).
I trigger point attivi possono diventare latenti se il muscolo è mantenuto a riposo, mentre dalla condizione di latenza possono diventare attivi per l’esposizione del muscolo agli stimoli (motivo per cui non è raro che possano ripresentarsi episodi dolorosi ogni qual volta si ripropongano fattori in grado di attivare il trigger point). La persistente attività del trigger point può inoltre passare da una fase di reversibilità della sintomatologia (nella quale il tender point è considerato un fenomeno disfunzionale neuromuscolare) ad una fase di irreversibilità, ovvero ad una “fase distrofica neuromuscolare”.
Quelli latenti non provocano dolore ma debolezza muscolare e riduzione dell’ampiezza del movimento del muscolo. Un trigger point latente potrebbe diventare attivo in seguito all’affaticamento del muscolo, così come in seguito ad un suo protratto “accorciamento”, o a un trauma diretto, un raffreddamento, oppure a causa di una malattia virale acuta o in presenza di disturbi del sonno.

Il dolore prodotto dal trigger point non è nella sede in cui è collocato ma in sedi diverse, dette anche zone bersaglio (target area), a volte limitrofe e a volte relativamente lontane, caratteristiche per ogni muscolo.
E’ un dolore che compare con una latenza di 10-15 secondi, per cui non è così facilmente associabile all’azione del trigger point in quanto il paziente avverte un aggravarsi del suo dolore spontaneo nella digitopressione pur non essendo sempre evidente la correlazione fra trigger point e accentuazione del dolore nella corrispondente target area.
I trigger points miofasciali ci indirizzano verso una diagnosi di dolore tissutale profondo (aching pain) somato-somatico/muscolo-scheletrico, detta sindrome miofasciale.
I trigger points cutaneo-mucosi ci orientano invece verso una diagnosi di dolore neuropatico (es:nevralgia del trigemino).

La tender area è una zona dolente alla digitopressione: corrisponde ad un’area che può essere considerata sia allodinica (in quanto lo stimolo responsabile -la digitopressione- normalmente non evoca dolore) che iperalgesica (in quanto in quella sede c’è una ridotta soglia di percezione del dolore).
Generalmente è possibile localizzare una tender area, dovuta alla liberazione locale di metaboliti algogeni, in corrispondenza dei tessuti danneggiati (cfr. tender area localizzate sulle inserzioni tendinee nelle entesiti) o dei neorecettori (cfr. neuromi da amputazione).
Differisce dal trigger point in quanto da essa difficilmente si ha una irradiazione del dolore, o meglio, può verificarsi che si abbia una certa irradiazione anche se meno vistosa di quella prodotta dallo stimolo dei trigger point.
Ciò che differenzia le tender areas dai trigger points è che le prime sono aree allodiniche dolenti quasi solo localmente, mentre i trigger points sono aree allodiniche che oltre ad essere dolenti localmente (nella taut band) evocano una risposta irradiata ad una target area topograficamente prevedibile.
Infine, mentre i trigger points sono anche tender areas, le tender areas non sono necessariamente trigger points.

I nostri sensi sono continuamente colpiti da stimoli, da sollecitazioni al cambiamento.
Il nostro sistema è pronto a recepirli per potersi riassestare.
La stasi non è significativa e quindi viene archiviata fino a quando non sarà richiamata per qualsiasi motivo.

L’istinto di vita nel sistema è più forte dell’istinto di morte.
Quando non è così il sistema s’indebolisce e può arrivare a mettere in atto comportamenti contro se stesso.

La costanza dello stimolo porta alla perdita della coscienza del medesimo.
Se la persona amata poggia la sua mano sulla nostra, dopo un po’ ce ne dimentichiamo.
Perdiamo cioè la coscienza della presenza della sua mano sulla nostra. Solo se togliamo o muoviamo la mano ne abbiamo nuovamente coscienza. Abbiamo coscienza del cambiamento.
La stasi, dopo un po’, viene dimenticata.

Spesso non capiamo le reazioni degli altri: il perché, da dove provengano. Non capiamo soprattutto che le abbiamo sollecitate noi.

Il sistema reagisce alla nostra coscienza ed alla nostra non-coscienza ma è, sostanzialmente, un conservatore che vive di piccoli, continui cambiamenti.
Ciò non significa che cambiamenti maggiori, anche molto importanti, non siano possibili.

Il sistema resiste, con una certa inerzia, prima di modificare la configurazione originaria di riferimento, continuamente alla ricerca di un equilibrio che gli permetta di vivere.

 

Fabìola Marelli
Osteopata

 

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